Gohei mochi

Eccomi di ritorno dalla mia adorata Verona, dove ho trascorso un capodanno indimenticabile circondata da persone fantastiche. Inutile dire che ognuno di noi ha dato fondo alle proprie abilità culinarie: canederli, spätzle, cotechino, brownies e chi più ne ha più ne metta! 
Reduci da una notte di festeggiamenti, abbiamo trascorso il primo in giro per borghi medievali: abbiamo visitato Valeggio e Borghetto sul Mincio.


Il 2 sono andata in Lessinia con la mia amica e ho visitato alcuni dei tredici comuni dell’altopiano tra cui Bosco, San Giorgio e Camposilvano. Abbiamo passeggiato lungo i prati ammantati di neve e gustato la cucina tipica. Dovete sapere che ho una passione per i formaggi veronesi, soprattutto per la ricotta affumicata della Lessinia.    

L’arrivo della neve e la gita in montagna hanno fatto riaffiorare in me il ricordo dei dolci che ho assaggiato a Shirakawa-go: gohei mochi 五平餅. Sono delle tortine di riso coperte di crema al miso e servite su uno stecco da gelato. Sono il tipico street food delle montagne attorno a Gifu e Toyama, dolci e sostanziosi.

Ricetta tratta da Cooking with the dog

Gohei mochi

1 cucchiaio miso
1,5 cucchiai zucchero
1 cucchiaio mirin
20g noci
mezzo cucchiaio sesamo bianco

Pestare il sesamo e le noci finemente nel mortaio. Mettere in padella lo zucchero, il mirin, il miso e mescolare bene. Mettere sul gas e cuocere mescolando finché lo zucchero è sciolto, quindi aggiungere le noci e il sesamo pestati. Pestare il riso appena cotto nella ciotola usando un pestello umido, quindi ricavare tante palline di riso. Appiattire le palline attorno a degli stecchi da gelato e mettere ogni dolce su una griglia da forno. Avvolgere dell’alluminio attorno agli stecchi per evitare che brucino in cottura e grigliare il riso per 8 minuti a 250°. Spalmare la crema al miso su ciascun bastoncino e passare nuovamente in forno facendo attenzione a non bruciare il miso.   

Daigaku imo vol.2

Oggi è stata una giornata molto piacevole; io e alcune compagne di giapponese ci siamo trovate per intervistare una delle ragazze venute a studiare presso l’università di Torino. Tra una tazza di tè e una fetta di sacher, abbiamo chiacchierato un po’ su come i giapponesi vivono l’Italia. Ciò che li colpisce maggiormente è la nostra socievolezza e l’impegno nello studio; come era prevedibile, sono sconcertati dalla mancanza assoluta di puntualità dei mezzi pubblici, nonché dalla scarsa cura per la cosa pubblica. Immagino questo sia una sorta di cultural shock, visto che la società giapponese è una macchina perfettamente oliata, dove ciascuno concorre al benessere globale.     

A proposito di università vi ripropongo un dolce autunnale tipico dei daigakusai 大学祭, ovverosia le fiere universitarie giapponesi: daigaku imo 大学芋. 
Sono delle patate dolci fritte e poi caramellate con sciroppo d’acero e salsa di soia. Le daigaku imo, una volta cotte, rimangono coperte da una glassa lucida e appiccicosa. Sono una vera bontà, un peccato di gola che va assolutamente gustato in autunno =)


Daigaku imo

1 patata dolce
2 cucchiai zucchero
1 cucchiaio sciroppo d’agave
1/2 cucchiaino salsa di soia
olio di semi
gomashio

Lavare la patata, pelarla e tagliarla a tocchetti. Metterla a mollo in acqua fredda per 10 minuti, quindi scolarla e asciugarla. Scaldare uno strato di olio in una padella e friggere le patate dolci. A parte, scaldare lo zucchero con lo sciroppo d’agave e la salsa di soia: deve formarsi uno sciroppo.
Scolare le patate dolci fritte e buttarle subito nello sciroppo caldo. Mescolare bene e, quando le patate saranno caramellate, metterle su un piatto e spolverarle di gomashio.

Coffee jelly


La prima cosa con cui ho fatto amicizia in Giappone sono stati i konbini, negozi sempre aperti dove puoi comprare un po’ di tutto. I konbini sono una comodità di cui sento la mancanza in Italia, soprattutto perché lì il cibo non costa quasi nulla. Non c’era giorno in cui non andassi al konbini sotto l’università per prendere il dolce. La scelta è poi caduta su un’invitante confezione di gelatine al caffè. Dovete sapere che i giapponesi hanno una passione oserei dire malsana per le gelatine; le vendono ovunque e te le propinano in qualsiasi ristorante. Alla fine è diventata quasi una persecuzione, tanto che i miei compagni non potevano più vederle! =) Questa era la mia gelatina al caffè preferita…

©Makisuke 

A parte gli scherzi mi sono affezionata a questo dolce ipocalorico e ho pensato di rifare proprio il coffee jelly コーヒー ゼリー. La preparazione è semplicissima e si può adattare secondo i propri gusti. Potete usare il latte o, se siete intolleranti, l’acqua. Per quanto riguarda l’addensante vanno bene sia la colla di pesce che l’agar agar (kanten); io ho optato per quest’ultimo. Il kanten è un’alternativa naturale alla gelatina alimentare, che viene prodotta con gli scarti animali. L’agar agar è un’alga dalle proprietà addensanti, ricca di minerali e già ampiamente utilizzata nell’industria dolciaria. A differenza della colla di pesce, il kanten va ammollato direttamente nel liquido da solidificare e va poi bollito con esso. La dose standard si aggira tra i 4g di agar agar per 500ml di liquido, ma potete variare a seconda del risultato che volete ottenere. E se sbagliate pazienza, basta rimettere tutto in pentola a scaldare aggiungendo ancora un pizzico di kanten. La particolarità dell’agar agar sta nella consistenza che dona alle gelatine, che rimangono più delicate e meno dure rispetto a quelle ottenute con la colla di pesce. Se a questo aggiungiamo che il kanten può essere usato anche come sostituto parziale delle uova nella preparazione di flan, budini, terrine ecc. vi ho convinti a provarlo? 😉 

Ricetta tratta e modificata da Il cavoletto di Bruxelles

Coffee jelly

500ml latte (o acqua)
dolcificante a scelta 
2g agar agar in polvere Emporio Ecologico
caffè solubile

Scaldare il latte e sciogliervi il dolcificante e il caffè solubile. Potete anche usare del caffè espresso in quantità variabile a seconda del gusto che volete dare alla gelatina. Aggiungere l’agar agar mescolando finché sarà ben sciolto. Lasciar raffreddare leggermente il liquido e versarlo in bicchierini o coppette. Quando saranno a temperatura ambiente mettere in frigo per almeno tre ore. Per ottenere l’effetto bicolore aggiungere un goccio di latte quando la gelatina è ancora semiliquida e mescolare. Non esagerare con il latte altrimenti la proporzione liquido/kanten si sbilancia e la gelatina non si solidifica correttamente.

Dorayaki

Benvenuti all’ultimo post prima delle vacanze estive e, per me, del secondo viaggio in Giappone! Ad agosto salterò sull’aereo che mi riporterà a Kanazawa, nella regione di Hokuriku (北陸地方 Hokuriku chihō). Non vedo l’ora di rivedere la città, l’università e di immergermi nuovamente in un’esperienza che sarà certamente indimenticabile. Oggi vi propongo uno dei dolci più conosciuti in Italia grazie al cartone animato Doraemon: i dorayaki どら焼き. 

Sicuramente avrete già visto almeno una volta quella specie di pancake farcito 

che il gattone blu è solito mangiare… 

Anche Yoshimoto Banana parla dei dorayaki nel suo libro intitolato “Ricordi di un vicolo cieco”:
«Mi piaceva molto il suo viso felice. In lui c’era sempre qualcosa di speciale. Sapevo che aveva a che fare con la felicità, ma era impossibile spiegarlo chiaramente a parole. “Per te cosa significa sentirti felice?” gli chiesi.
“Ehi, vuoi fare discorsi difficili?” disse. “No, volevo solo sapere che cosa ti viene in mente se pensi alla felicità” “E tu, Mimi?” chiese lui. Certo che è strano, lo chiedo agli altri e sono la prima a non saper rispondere, pensai, e aspettai che mi venisse in mente qualcosa. Quella pausa durò circa cinque minuti, credo. Nel frattempo restammo tutti e due in silenzio, l’uno accanto all’altra, i piedi stesi sul prato. Mangiando ogni tanto una patatina. “A me vengono in mente Doraemon e Nobita” dissi. “Eh? Ma dici il manga?” chiese Nishiyama. “Ho un piccolo orologio con la loro immagine” dissi. “Stanno davanti a un fusuma, nella stanza di Nobita disseminata di manga, e leggono tutti sorridenti. Nobita è sdraiato a pancia in giù, appoggiato su un cuscino piegato a metà, i gomiti a terra, e Doraemon è seduto con le gambe incrociate e, mentre legge, mangia dorayaki. Sarà per il rapporto fra loro due, con Doraemon che fa lo scroccone, sarà perchè la scena è quella di una tipica famiglia giapponese, ma penso sempre che questa sia l’immagine della felicità […]».

Preparare i dorayaki è facilissimo e potete farcirli anche con panna montata o, come va di moda adesso, con della crema pasticciera. Io continuo a preferirli nella versione tradizionale oppure aromatizzati al matcha. Li ho serviti con un buonissimo e rinvigorente tè verde Tea and coffee house!
Ricetta tratta e modificata da Just one cookbook

Dorayaki

4 uova
140g zucchero
1 cucchiaio miele di tiglio Rigoni di Asiago
1 cucchiaio lievito
1-2 cucchiai acqua
160g farina
anko

Sbattere le uova con lo zucchero e il miele. Aggiungere la farina setacciata e mettere l’impasto in frigo per 15 minuti. Unire l’acqua (l’impasto deve essere molto denso). Ungere una padella calda e cuocere i dorayaki. Farcirli con la marmellata di azuki.

Kirimochi wagashi


Il kirimochi è un tipo di mochi che, al momento della cottura, si gonfia come un palloncino e diventa filante all’interno. Si comprano in un qualsiasi asian market ben fornito e li trovate in una busta confezionati singolarmente. Potete gustare il kirimochi con del miele, del caramello salato, dello sciroppo o un coulis a scelta. Questo dolce va mangiato appena cotto perché altrimenti tende a diventare duro. Io ho abbinato il mio wagashi a del miele di arancio e una tazza di tè verde Tea and coffee house.

Kirimochi wagashi

1 kirimochi
semi di sesamo Melandri Gaudenzio
miele di arancio Rigoni di Asiago
mirtilli

Accendere il forno a 180°. Mettere il kirimochi in una teglia e cuocerlo fino a quando non diventa leggermente dorato e bello gonfio. Metterlo su un piatto e decorarlo con i semi di sesamo, il miele e i mirtilli.

Fukusa mochi

Sono appena tornata da Londra, dove ho trascorso cinque giorni meravigliosi. Nonostante il freddo a dir poco polare siamo riusciti a visitare in lungo e in largo la città. Avevo grandi aspettative per questo viaggio, dato che ho sempre desiderato visitare l’Inghilterra. Londra mi ha molto colpita, ma in particolar modo mi hanno colpita gli abitanti. Sempre gentili, galanti e con un particolarissimo senso dell’umorismo; ricordo che appena arrivati ho chiesto informazioni a un poliziotto e lui ha iniziato a saltellare sul posto per imitare la mia titubanza, credo. I londinesi non paiono nemmeno soffrire il freddo; noi avevamo due paia di guanti ciascuno e maglioni pesantissimi, loro giravano in pullover o con la gonna. In effetti potrebbero non essere umani… =) 
Un mito che abbiamo sfatato è stato quello della cucina: a Londra si mangia benissimo, a patto di avere fortuna trovando un buon pub. Sotto il nostro hotel c’era un localino di nome Grumbles che proponeva piatti tipici come fish and chips, Eton mess e tanti altri. Inutile dire che ci siamo trovati benissimo e già mi manca…




L’ultimo giorno siamo andati a Oxford con il bus. Erano due anni che mi pregustavo questa gita, visto che adoro l’architettura gotica. E’ stata un’esperienza che porterò nel cuore, ho visto veramente di tutto compresa la casa di Tolkien e alcune delle location di Harry Potter come Christ church e la Divinity school. Potrei anche dire che Oxford mi è piaciuta più della capitale, con le sue casette di pietra, i vicoli e gli austeri college…

  
Il dolce di oggi è la rivisitazione di un wagashi che compravo spesso a Kanazawa, il fukusa mochi ふくさ餅. Si tratta di una sorta di pancake spugnoso ripieno di mochi e anko o marmellata di castagne. A Kanazawa c’è una pasticceria che li fa particolarmente buoni, Murakami. Non vedo l’ora di mangiarne tantissimi a Kanazawa… =)
Non conoscendo la ricetta per ottenere l’effetto spugna, ho fatto dei semplici pancakes e li ho farciti con mochi e anko.   
 

Fukusa mochi

Per il mochi


50g shiratamako (farina di riso glutinoso)
100g acqua
matcha Tea and coffee house
70g zucchero
fecola di patate Naturei

Per i pancakes

200g farina
2 cucchiaini lievito
3/4 cucchiaio di sale
2 cucchiaini zucchero
2 uova
250ml latte
3 cucchiai olio di oliva

Mettere la farina di riso glutinoso e lo zucchero in una ciotola adatta alla cottura a vapore, aggiungere l’acqua poco per volta mescolando. Mettere la tazza in un cestello per la cottura a vapore e cuocere 15 minuti. Con una spatola umida (Happyflex) mescolare bene il mochi per renderlo uniforme. Se, una volta che è stato mescolato, risulta ancora troppo liquido cuocerlo altri 3-4 minuti.
Mettere il mochi su una spianatoia coperta di fecola e stenderlo con le mani, dando dei piccoli colpetti con i polpastrelli. Coprire con altra fecola e lasciar raffreddare.

In una ciotola mescolare lievito, sale, farina setacciata e zucchero. Separare i rossi dai bianchi e montare i bianchi a neve non troppo ferma. Unire il latte ai rossi e montare il tutto. Aggiungere l’olio e continuare a montare. Aggiungere al composto di farina le uova e mescolare un pochino con la frusta. Aggiungere i bianchi e far riposare per 30 minuti. Scaldare una padella da crepes e disporre un cucchiaio di impasto. Spargere l’impasto fino a formare un cerchio. Quando si formeranno delle bolle sulla superficie girare la frittella. Dovrà gonfiare un pochino e dorarsi.
Mettere su un piatto un pancake, stendere sopra il mochi e l’anko e coprire con un altro pancake.

Mitarashi dango

Sono delusa…
La settimana scorsa ci sono state le elezioni che, per come la vedo io, ci hanno fatto precipitare nuovamente in una spirale di incertezza da cui mi pare difficile uscire. Perché diciamocelo, tutti ci aspettavamo di vedere il M5S pigliare tutto ma nessuno aveva previsto il ritorno col botto del “morto che cammina”. Ci avevamo sperato, sicuramente, ma vederlo tornare al 30% e mancare per un soffio il pareggio con la sinistra è stato un colpaccio. Basta aprire Facebook per vedere la bacheca invasa da insulti, lamentele, singhiozzi e gente che prende a testate il muro di casa per l’esasperazione. A vederla così sembra che tutti abbiano votato un partito diverso da quello di Berlusconi. Tu non l’hai votato, io nemmeno, lui manco per sbaglio… e allora come si spiega il risultato?
La verità è che chi vota PDL è un’entità anonima, introvabile e inavvicinabile. E’ lo stesso fenomeno di chi votava DC: non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
Eppure a cosa serve adesso prendersela con quel 30% di italiani che ci ha rigettati mani e piedi in pasto al Cav? Non basta dire che sono tutti idioti, che Berlusconi in fondo ce lo meritiamo…
E’ consolatorio rifugiarsi nella convinzione di essere stati quelli che hanno voluto davvero il cambiamento ma che questo è stato ostacolato da una manica di teste di legno. Il vero problema è riuscire ad affrontare il risultato e cospargerci il capo di cenere, cercando di capire cosa non ha funzionato. Il dialogo proficuo tra le parti, nonostante sia di fatto una pia illusione, è l’unica soluzione che ci resta…

Detto ciò, per salutare la primavera che si avvicina mi piacerebbe parlarvi di un dolce tipico del periodo: mitarashi dango みたらし団子.
Si tratta di palline di farina di riso glutinoso infilate su uno spiedino, grigliate e glassate con una deliziosa salsa agrodolce. La farina con cui si preparano i dango si chiama shiratamako 白玉粉 ed è composta da farina di riso glutinoso (talvolta mochiko) mista a fecola. Potete trovarla negli asian shop ben forniti, anche se probabilmente non sarà quella originale giapponese. La ricetta è semplicissima: basta mischiare la shiratamako al liquido scelto (acqua o tè), ricavare i dango e cuocerli in acqua bollente.
Mi è capitato di mangiare i mitarashi dango durante il matsuri di un minuscolo tempio shinto nel centro di Kyoto…

Mitarashi dango

shiratamako (farina di riso glutinoso)
tè sakura Tea and coffee house q.b.
1 tbs salsa di soia
3 tbs miele di melo Rigoni di Asiago
1/8 tsp mirin
1 tbs acqua + 1 tbs acqua
1tbs fecola di patate Naturei

Mettere la shiratamako in una ciotola e aggiungere pochissimo tè caldo (o acqua). Impastate fino ad ottenere una palla liscia e morbida. Non aggiungete troppo tè, mi raccomando!
Ricavare delle palline e buttarle in abbondante acqua bollente. Quando le palline vengono a galla, contare 3 minuti e scolarle in una ciotola di acqua e ghiaccio. Asciugare i dango con della carta assorbente e grigliarli un attimo in padella, giusto per dargli colore.
Mettere tutti gli ingredienti, tranne la fecola e un cucchiaio di acqua, in un pentolino e portare a bollore. Quando la salsa inizierà a diventare viscosa, aggiungere la fecola sciolta in un cucchiaio di acqua e mescolare bene. Infilzare i dango su degli spiedini e intingerli nella salsa.

Zenzai

Ho commesso un crimine terribile che macchia la mia “torinesità”. Lo confesso, non avevo mai bevuto il bicerin!!!
Se non siete torinesi vi sembrerà bizzarro. Ma immaginate se un bolognese vi dicesse che non ha mai assaggiato le lasagne in vita sua, o se un napoletano vi chiedesse “ma cos’è un babà?”. Ecco, forse adesso potete cogliere la gravità di questo misfatto.. 😉
Adesso vi spiego che cos’è il bicerin: è la bevanda a base di caffè, cioccolato e crema di latte servita nel locale omonimo sin dal Settecento.
La sua storia è davvero curiosa: il bicerin nacque dalla bavareisa, una bevanda molto famosa all’epoca.
Il rituale del bicerin prevedeva che i tre ingredienti fossero serviti in calici separati. Queste varianti erano dette pur e fiur (l’odierno cappuccino), pur e barba (caffè e cioccolato) e ‘n poc ‘d tut (tradotto un po’ di tutto). Inutile dire che la versione ad aver riscosso il maggior successo è stata quella mischiata.
La bevanda venne chiamata bicerin, come i bicchieri senza manico in cui veniva (e viene tuttora) servita.
Il bicerin era la bevanda amatissima da personaggi quali Cavour, Nietzsche, Maria Josè e Puccini.



Se vi capita di venire a Torino fate un salto al Bicerin, ne vale davvero la pena. L’atmosfera retrò, i deliziosi dolci e il corroborante bicerin vi faranno adorare questo locale storico.

La ricetta di oggi è il “comfort food” invernale per eccellenza in Giappone: zenzai 善哉. 
Lo zenzai è una sorta di zuppa dolce fatta di azuki bolliti e mochi. Questo dessert è molto simile allo oshiruko お汁粉 che, però, risulta più liquido dello zenzai. Esiste anche una variante dello oshiruko che si prepara con la purea di castagne. Di solito lo zenzai viene accompagnato da qualche tsukemono (sottaceto) o da qualcosa di salato, per pulire il palato dalla dolcezza degli azuki.
La preparazione è semplicissima. Basta far cuocere gli azuki con lo zucchero e preparare qualche mochi, magari aromatizzandoli al gusto di tè. Lo zenzai gustato con un buon tè giapponese Tea and coffee house è davvero rinfrancante…

Zenzai

1 lattina azuki precotti
zucchero q.b.
shiratamako (farina di riso glutinoso)
tè tesori giapponesi Tea and coffee house q.b.
matcha izumi Tea and coffee house

Versare la shiratamako in una ciotola e aggiungere pochissimo tè caldo (o acqua). Impastare fino a ottenere un impasto liscio e lavorabile. Ottenere delle palline e buttarle in abbondante acqua bollente. Da quando i dango vengono a galla, contare 3 minuti e scolarli in una ciotola di acqua ghiacciata. Asciugarli bene con della carta assorbente.
Versare gli azuki in una padella e aggiungere zucchero a piacere. Portare a bollore e mescolare fino a quando il composto diventerà abbastanza viscoso.
Mettere la zuppa di azuki calda in una tazza e decorare con i dango e una spolverata di matcha (o kinako).

Sakura mochi ice cream

Questo weekend sono andata finalmente al mare, a Vado Ligure per la precisione. Vi avevo già accennato a questo paesino della riviera di ponente. 
Quando ero piccola, c’è stato un tempo in cui andavamo lì a trovare mio padre, che lavorava per un’azienda del luogo. D’estate, poi, raggiungevamo mio padre e passavamo lì le vacanze. 
Ho ricordi meravigliosi di quel periodo… avevo il mio amico del cuore con cui passavo ore e ore a giocare in spiaggia, un bel gruppo di amici che ci aveva accolto come fossimo parte del paese. Questo alla faccia di chi, capace di ragionare solo per stereotipi, dice che i liguri sono persone distaccate e inospitali!
Vado è una cittadina minuscola, all’epoca era poco più che un gruppo di casupole abbracciato dal porto. Probabilmente era conosciuta solo dai tifosi del Grande Torino, essendo il paese natale del portiere Valerio Bacigalupo, morto nella tragedia di Superga.  
Ai miei tempi a Vado c’erano pochi negozi, qualche buon ristorante e il luogo di ritrovo preferito dove fare il bagno era il Centro Nautico. Adesso il paese si è ingrandito ed è diventato la meta turistica non solo dei torinesi che non avevano voglia di guidare fino a Varazze, ma anche di un nutrito gruppo di tedeschi e arabi che vengono lì a villeggiare.

Se c’è una cosa che non è cambiata negli anni, è l’abitudine del Centro Nautico di organizzare la tradizionale “Muscolata”. E’ una sagra gastronomica la cui protagonista assoluta è la cozza, ovviamente cucinata alla ligure. Questo evento richiama molti turisti e soci affezionati; pensate che ogni volta i volontari, da 35 anni a questa parte, lavorano per pulire oltre 15 quintali di cozze da cucinare e servire! 
Da piccola io stessa davo una mano a pulirle e a lavarle nella centrifuga… e poi mi regalavano la focaccia bianca da mangiare… =)    
Nonostante sabato il tempo sia stato tutt’altro che clemente (non avete idea del vento che tirava, e freddo per giunta), abbiamo partecipato alla Muscolata con i nostri vecchi e cari amici di Savona.

Mi sono divertita molto, mi mancava tanto l’atmosfera rilassata e conviviale di Vado… e il mare freddo e altissimo della Liguria! 
Fare il bagno in mare, dopo praticamente due anni di mancanza, è stata una cosa fantastica… mi piangeva il cuore all’idea di tornare a Torino.

Sulla strada per il ritorno ho rivisto una cosa che, da bambina, mi affascinava molto e mi faceva tenere gli occhi incollati al cielo…
All’inizio dell’autostrada A6, appena inoltrati nell’Appennino Ligure, se prestate attenzione vedrete tanti vagoncini sfilare lungo una funivia.
Quella è la storica funivia che porta il carbone dal porto di Vado alla cokeria di Cairo Montenotte, oltre il Colle di Cadibona. La funivia, risalente al lontano 1910, ai tempi della costruzione era la più lunga d’Europa, con i suoi 18km di tracciato. Attualmente, pare sia scesa al terzo posto.  

©  Immagini del Savonese
Questa immagine si riferisce alla parte di percorso che attraversa la ferrovia per Savona, ma immaginate lo spettacolo di questi vagoncini che percorrono l’impervio Appennino verso le Langhe.
Così eccomi qui, tornata dal mare e comunque bianca come una mozzarella! =)
Per quanto riguarda la ricetta di oggi, si tratta di mochi ice cream アイスクリーム, cioè mochi ripieni di gelato. Come penso di aver già spiegato altrove, il mochi è una tortina di riso glutinoso, morbida e appiccicosa, molto apprezzata in Giappone. Viene consumato tutto l’anno, nonostante sia un dolce tipico dello shōgatsu 正月, il capodanno giapponese. Di solito si trova di colore bianco e farcito di marmellata di azuki, ma si trovano in commercio anche mochi rosa o verdi. Il mochi sta alla base di tantissimi wagashi, tipo i daifuku o gli shiratama dango… 
La ricetta dei mochi gelato non è difficile ma solo lunga; le proporzioni sono diverse da quelle del solito daifuku, perché serve il doppio di acqua rispetto alla farina. Inoltre, la ricetta prevede l’aggiunta della marmellata all’impasto per dargli colore… o almeno dovrebbe! 
La preparazione sarebbe molto più agevole se si utilizzassero un microonde e un pallinatore per il gelato, ma io non possiedo nessuno dei due. Vi assicuro che la mancanza di questi utensili non pregiudica minimamente la riuscita della ricetta… 😉
Provate a preparare i vostri mochi gelato usando i gusti che preferite! 

Ricetta tratta e modificata da Cooking with the dog

Sakura mochi ice cream


50g shiratamako (farina di riso glutinoso)
100g tè verde sakura Tea and coffee house
70g zucchero
1 cucchiaino Fiordifrutta alla ciliegia Rigoni di Asiago
gelato al fiordilatte
fecola di patate Naturei

Preparare il tè, filtrarlo e lasciarlo raffreddare. Mettere la farina di riso glutinoso e lo zucchero in una ciotola adatta alla cottura a vapore, aggiungere il tè poco per volta mescolando. Passare la marmellata in un setaccio per renderla più fluida e aggiungerla all’impasto. Mettere la tazza in un cestello per la cottura a vapore e cuocere 15 minuti. Con una spatola umida (Happyflex) mescolare bene il mochi per renderlo uniforme. Se, una volta che è stato mescolato, risulta ancora troppo liquido cuocerlo altri 3-4 minuti.
Mettere il mochi su una spianatoia coperta di fecola e stenderlo con le mani, dando dei piccoli colpetti con i polpastrelli. Coprire con altra fecola e lasciar raffreddare. Mettere il mochi in frigo per 30 minuti. Nel frattempo, ricavare delle palline di gelato e disporle ciascuna in un pirottino, quindi rimettere il tutto in freezer.
Tagliare il mochi a quadrati abbastanza grossi e avvolgere ogni mochi nella pellicola per alimenti. Mettere ogni foglio di mochi in freezer per 30 minuti fino o addirittura un’ora.
Prendere un mochi e, lasciando la pellicola sotto la base, farcirlo con gelato. Chiudere il mochi aiutandosi con la pellicola e appallottolarlo bene. Ripetere questo procedimento per ogni mochi velocemente e mettere il tutto in freezer fino al consumo.

Cherry wagashi

Nell’immaginario comune il Giappone è la patria del sushi, pietanza raffinata oramai diffusa in tutto il mondo. Meno nota, invece, è l’arte della confetteria che da secoli viene praticata con altrettanta maestria. I dolcetti tradizionali giapponesi, noti come wagashi 和菓子, costituiscono una categoria separata rispetto ai dolci di importazione occidentale.
Alla base dei wagashi si trovano ingredienti esclusivamente vegetali come la farina di riso glutinoso, gli azuki e l’agar agar a cui vengono aggiunti frutta fresca o estratti vegetali.
Le tecniche di produzione dei wagashi vennero affinate durante i periodi Nara (710-784) e Muromachi (1336-1573). Bisogna, però, attendere il XVII secolo perché i wagashi diventino una vera e propria arte ed entrino a far parte della tradizionale cerimonia del thè.
I wagashi possono essere considerati vere e proprie opere d’arte. Piccoli gioielli che riproducono le forme naturali: fiori, animali, frutti…
I mochi sono la base di partenza per la maggior parte dei wagashi e vengono preparati durante la cerimonia detta mochitsuki 餅搗き.



Ai mochi generalmente vengono aggiunti aromi come l’artemisia, la farina di soia tostata o il sesamo nero.
I wagashi più comuni sono i daifuku, ovvero mochi ripieni di anko (pasta di azuki). I sakura mochi – tortine di riso ripiene di anko e avvolte in una foglia di ciliegio – ne sono sicuramente l’esempio più sublime.
Gli ichigo daifuku – mochi ripieni di fragole – sono una deliziosa variante moderna dei daifuku.
Lo yōkan – una piccola gelatina di azuki – è uno dei wagashi più antichi, particolarmente caro allo scrittore Natsume Sōseki. Questo dolce di solito viene offerto come benvenuto quando si soggiorna in uno ryokan, l’albergo tradizionale giapponese.

                     

                                              
Cherry wagashi

foglie di ciliegio grandi
5cl acqua tiepida
25gr sale
20gr farina di riso glutinoso (shiratamako)
40gr farina per dolci
2 cucchiai zucchero
120ml acqua
marmellata Fiordifrutta alle visciole Rigoni di Asiago

Lavare le foglie e sbollentarle qualche secondo nell’acqua bollente. Metterle subito a raffreddare in una ciotola di acqua fredda e raggrupparle in mazzetti da 10. Marinarle nella salamoia per 2 o 3 giorni e quindi scolarle bene e metterle in freezer. Si conservano bene per un anno ma vanno maneggiati con cura se no si rompono con facilità.
Mescolare la farina, la shiratamako, lo zucchero e unire piano l’acqua. Fare delle piccole frittelle di forma ellittica con l’impasto e cuocerle nella padella calda. Una volta cotte metterle in un piatto e farcirle con un goccio di marmellata. Decorarle con una foglia di ciliegio sotto sale.